Il dibattito sulla disuguaglianza economica è più acceso che mai, e a ragione. Un'analisi approfondita del nostro sistema rivela contraddizioni profonde: sebbene sulla carta sia progressivo, in pratica favorisce l'accumulo di ricchezza nelle mani di pochi. Questa dinamica complessa include la tassazione privilegiata dei capitali, la percezione distorta della filantropia e la necessità urgente di riconsiderare strumenti come la patrimoniale.
Attualmente, il nostro sistema di tassazione appare progressivo fino al 95° percentile di reddito, per poi diventare paradossalmente regressivo. Questo significa che, oltre una certa soglia, l'aliquota effettiva diminuisce. La maggior parte dei guadagni della fascia ultra-ricca deriva da redditi da capitale, tassati fino a un massimo del 26%, una percentuale notevolmente inferiore rispetto ai redditi da lavoro. Questa disparità non solo crea un incentivo perverso, spostando la mentalità dominante dalla creazione di valore all'interno della società alla ricerca della fiscalità più conveniente, ma privilegia anche la conservazione e l'aumento del capitale rispetto all'innovazione e alla crescita diffusa.
Se esiste un limite chiaro per definire la "povertà estrema", perché non esiste un concetto analogo per identificare la "ricchezza estrema"? Questa asimmetria concettuale nasconde una realtà scomoda: la creazione di patrimoni colossali è spesso facilitata dallo sfruttamento dell'ecosistema societario. Le infrastrutture, i servizi pubblici, l'istruzione e la sicurezza – elementi cruciali per la prosperità delle imprese – sono finanziati dalle tasse pagate da tutti, inclusi i meno abbienti. La ricchezza accumulata si basa quindi, in parte, su un "debito" non riconosciuto nei confronti della collettività.
Una recente ricerca di Oxfam getta luce su una delle criticità più scottanti: oltre il 60% degli ultra-ricchi non ha raggiunto la propria posizione grazie alla creazione di valore, ma per mera eredità. Questo dato demolisce il mito della ricchezza come traguardo equo e meritocratico, rivelandola piuttosto come uno status quo che si protrae nel tempo, alimentando le disuguaglianze generazionali e sociali. La mobilità sociale ne risente pesantemente, cristallizzando posizioni di privilegio a prescindere dal merito individuale.
L'idea che i ricchi siano intrinsecamente filantropi è, in molti casi, una narrazione fuorviante. I dati mostrano che solo il 10% di chi detiene grandi capitali è realmente impegnato in attività filantropiche. Inoltre, le somme donate, sebbene ingenti in termini assoluti, sono spesso irrisorie rispetto al patrimonio totale di questi individui. Una patrimoniale del 2% su tali capitali, ad esempio, avrebbe un ordine di grandezza significativamente maggiore nell'efficacia della ridistribuzione della ricchezza. Non solo, una buona parte di questi capitali donati è destinata a enti e attività di élite, con un impatto quasi nullo sulla vita della maggioranza della popolazione. Questo solleva interrogativi sulla reale finalità di tali donazioni, che in alcuni casi potrebbero configurarsi come "money washing" o, più semplicemente, come strumenti per migliorare l'immagine pubblica senza un reale impegno per il bene comune.
La paura, strumentalmente fomentata dalle élite, che una patrimoniale colpirebbe indiscriminatamente gli strati meno agevoli della popolazione – dall'artigiano al piccolo imprenditore – è completamente priva di fondamento. In Italia, ad esempio, una patrimoniale mirata colpirebbe circa lo 0,1% della popolazione, ovvero circa 50.000 individui adulti con patrimoni minimi di 5,4 milioni di euro. Si tratta, dunque, di una misura che non andrebbe a gravare sulle piccole e medie imprese o sui redditi da lavoro, ma solo sulle grandi fortune. Contrariamente alla narrazione mediatica che tenta di dividere l'opinione pubblica su questo tema, ricerche recenti mostrano che il 70% della popolazione è a favore di una tassa patrimoniale. Questo dato smentisce la presunta "divisione popolare" e rivela un ampio consenso verso una maggiore equità fiscale.
È tempo di affrontare apertamente il tema della ricchezza estrema e delle sue implicazioni sociali. Un sistema fiscale che favorisce l'accumulo di capitale a scapito del benessere collettivo, una cultura che privilegia la rendita rispetto alla creazione di valore e una filantropia che spesso si rivela una maschera per interessi privati, sono tutti elementi che contribuiscono a una crescente disuguaglianza. La discussione sulla patrimoniale non è solo una questione economica, ma anche etica e sociale, volta a ristabilire un equilibrio e a promuovere una società in cui la ricchezza sia un mezzo per il progresso di tutti, non solo di pochi - anzi, pochissimi.
Top comments (0)